Mario Rigoni Stern: La Montagna che vorrei

Senza elicotteri o fuoristrada. Abbastanza silenziosa da lasciar vivere i caprioli, gli urogalli, e gli uomini in cerca di pace.

Questo farebbe, se fosse ministro, il grande vecchio dell’Altopiano di Asiago. Da lassù guarda il tempo ribaltato dall’effetto serra. Ma poi, camminando nei boschi, trova ancora la neve a cui i suoi avi davano sei nomi diversi: uno per ogni periodo dell’anno.

La Montagna che vorrei come funziona?
La Montagna che vorrei (CapitanoUltimo.it)

di Antonio Lopez

Asiago. La neve appena caduta rende più luminoso il bosco di faggi, abeti e larici che ammanta le pendici dello Zebio, monte di 1.767 metri dell’Altopiano dei Sette Comuni, in provincia di Vicenza. L’aria fresca entra nei polmoni, libera la testa. Intorno, il silenzio ovattato della foresta, interrotto dal rumore della neve che crocchia sotto gli scarponi.

Questo è il mondo di Mario Rigoni Stern, il luogo delle passeggiate che hanno ispirato alcuni suoi racconti, raccolti ne Il bosco degli urogalli del 1962, in Uomini, boschi e api del 1980, e nell’ultimo Tra due guerre, pubblicato alla fine del 2000 (vedere riquadro a pagina 110). In quest’angolo di natura ­impregnato anche di storia perché sulla vetta del monte c’era un caposaldo austriaco che durante la Grande guerra costò gravissime perdite ai fanti della brigata Sassari di Emilio Lussu ­ inizia l’intervista sottobraccio all’ottantenne scrittore, tra i più amati e
tradotti del nostro secolo.

“Anche il bosco parla”, mi dice sottovoce, mentre risaliamo la Strada bianca che porta alla casera Busette, pochi chilometri sopra casa sua. “Anche d’inverno, quando sembra deserto e silenzioso, ha mille occhi e mille orecchie. E mille animali che lo abitano. Se si va in silenzio, anche quando c’è neve si può sentire e scoprire qualcosa”. Indica le tracce sulla coltre bianca: “Quelle tra gli abeti rossi sono le orme di un capriolo. Più avanti, tra i larici, è passato uno scoiattolo. Poi nella parte più alta della foresta ci sono gli urogalli ­ o galli cedroni ­ i fagiani di monte e lepernici bianche; mentre in quella più bassa vivono i francolini”.

Il senso di Mario per la neve

Rigoni Stern è uno straordinario conoscitore della sua terra. Della quale può svelare ogni piega, ogni angolo, ogni respiro naturale. “In città non ve ne accorgete più, ma qui ogni stagione ha i suoi silenzi e i suoi odori. D’inverno sono i muri che parlano. Attorno, tutto attorno è ovattato dalla neve. E quando senti passare un aereoplano, sembra lontanissimo, oltre le stelle. La neve sugli alberi, la neve per terra, la neve sui tetti porta via il rumore. Poi, in primavera, quando le notti sono più brevi, al mattino c’è il silenzio della natura. Sembra proprio la voce degli alberi che incominciano a svegliarsi.

cosa succede?
Cosa accade? (CapitanoUltimo.it)

Arrivano gli uccelli: i lucherini per primi perché nidificano anche con la neve, poi le cesene, i tordi e i merli dal collare, mentre i caprioli cominciano a chiamarsi nei boschi. Cambia la luce e l’aria ha un modo diverso di trasmettere i suoni. D’estate, invece, si sente la voce della gente: anche di notte, perché si resta svegli più a lungo. E sembra che ti entrino in casa anche se sono lontani un chilometro.

Chi è abituato a camminare, e sta attento, avverte anche il cambiamento degli odori. L’odore della primavera è l’odore della terra che va in amore. Saranno le radici, sarà il terreno che si sgela, i liquidi che si muovono, ma il suo profumo è diverso. Anche un cittadino dovrebbe riconoscerlo, così come si accorge che l’aria di montagna è buona”. Anche la neve per il grande scrittore non ha segreti. Lui la chiama con i nomi che risalgono all’antica lingua altotedesca che si parlava sull’Altopiano di Asiago fino alla Grande guerra.

La neve che annuncia l’inverno si chiama brishtna, la prima. Poi verso la primavera c’è l’harnust, la neve con la corazza. Perché il sole di giorno la scioglie in superficie e il freddo della notte la raggela. La neve è alta, copre tutte le pietre, le fosse, i cespugli bassi, i dislivelli del terreno e di mattina puoi andare dove vuoi perché non sprofondi e non hai ostacoli. Poi c’è la neve della rondine, la swalbalasneea, che è quella di marzo. In aprile cade quella del cuculo, la cuchasneea. Poi a maggio quella della quaglia, la bactlasneea. E infine la neve della vacche, la kuasneea, che, se scende quando gli animali sono già negli alpeggi di montagna, copre i pascoli e riduce la produzione di latte”.

Il bosco da salvare

Scendiamo al paese. Tutti gli sorridono e in molti si fermano a salutarlo. Domenico Stella, guardia forestale in congedo. L’ex boscaiolo Tarcisio. Albino Frigo, suo compagno di guerra in Russia, riuscito a salvarsi e a tornare. Ci fermiamo all’Albergo Europa, un vecchio ritrovo di cacciatori (l’edificio originario era del 1630), oggi ricostruito. Per Rigoni Stern davvero i boschi non hanno segreti? “Li conosco per istinto. Da ragazzo sapevo distinguere le erbe buone da quelle cattive, le bacche buone dalle velenose. Mangiavo i mirtilli e non la belladonna, anche se nessuno me lo aveva insegnato: era una cosa naturale. Poi mi sono applicato leggendo libri di botanica, silvicoltura, entomologia. Ho fatto l’apicultore per trent’anni e fino a che ho potuto, ma quando mi sono accorto di non avere la manualità necessaria per fare questo lavoro, ho smesso. Ho regalato le arnie a un boscaiolo che aveva gran passione. E gli ho detto: ti do tutto, ma abbine cura”.

Perché ce l’ha coi fuoristrada?Non solo con loro, ma anche con i cercatori di funghi e con gli sciatori che usano gli elicotteri per le discese fuoripista. Ma i più incoscienti sono i ricchi dell’ultimo momento: usano i fuoristrada a sproposito e vanno sui pascoli e in altri luoghi in cui non dovrebbero andare. Se gli si dà una multa la pagano con la massima leggerezza, e magari ripetono l’errore il giorno dopo. Occorre intervenire, spiegare che con quei mezzi pesanti si rompe la cotica dove crescono i pascoli. E se c’è meno erba le vacche danno meno latte, e ci rimette il malgaro”.

“Per i fungaioli esistono permessi, zone, quantità e qualità da raccogliere. Ma loro spesso non li rispettano e si scoprono nei portabagagli casse piene di funghi”. Anche loro fanno danni al sottobosco? “Arrivano in primavera, per raccogliere prataioli, spugnole, funghi di san Giorgio. Ma nello stesso periodo i galli forcelli, i cedroni e i tordi, nidificano per terra e sui rami bassi degli alberi. Passa una volta, passa due, tre volte, ci sono luoghi dove ogni cinque-sei metri c’è un sentiero segnato da un fungaiolo. Quale uccello può nidificare, fare la sua cova, stare sui suoi piccoli in una simile situazione? A volte incontro i ragazzi delle scolaresche di Marghera, coi loro visi pallidi e la loro tosse, e mi dicono che vivono in un ambiente disastroso; io dico che hanno più diritto di noi, che stiamo in montagna, di respirare aria buona. Perciò venite pure, camminate per i boschi, respirate aria pulita. Ma sappiate che i boschi sono per tutti. Non di tutti”.

Mai più un’altra guerra

Rigoni Stern lo conosciamo tutti per le nude e umanissime memorie di alpino che ha scritto nei libri (Il sergente nella neve, Quota Albania, Ritorno sul Don) dedicati a quei terribili sette anni di guerra. Partito volontario a diciassette anni, nel 1938, per Aosta e la scuola militare di alpinismo “Duca degli Abruzzi”, tornò a casa, arrivando da Graz a piedi, la sera del 9 maggio 1945. Nel mezzo, aveva combattuto nelle campagne di Francia, Grecia, Albania e Russia ed era stato prigioniero in Lituania, Slesia e Stiria, patendo venti mesi di lager.

Così, nel caldo di casa sua, davanti a una tazza fumante di tisana servita da Anna, la sua compagna, si conclude il nostro incontro. “Quando tornai pensavo di scavarmi una tana per vivere sottoterra“, racconta, ancora con gli occhi lucidi. Mi sembrava che fosse impossibile vivere ancora tra persone civili. Avevo visto cose, che quando le raccontavo la gente non voleva credererci. E si allontanava. Come successe al mio amico Primo Levi. Eravamo allo stesso tempo sommersi e salvati. Ancora adesso mi chiedo: per quale motivo, o per quale colpa, siamo rimasti vivi? Forse siamo rimasti vivi per poter testimoniare“.

Il mondo di Rigoni Stern in sei titoli: LE CRONACHE DEL SERGENTE NELLA NEVE

Quelli pubblicati nel 2000, sono “Il bosco degli urogalli” e “Tra due guerre”: entrambi editi da Einaudi, come tutti i libri di Mario Rigoni Stern (una quindicina circa). Il primo è la riedizione di un’opera uscita nel 1962, tra le sue più celebri, e racconta di cacciatori, animali selvatici e montagne.

Il secondo è la sua ultima fatica e raccoglie 54 storie ambientate nei due conflitti mondiali e ai giorni nostri. Lo scrittore ha avuto consenso di pubblico e vari riconoscimenti della critica (Premio Campiello 1978, premio Grinzane Cavour 1996). E di seguito ci i due, dei suoi titoli, che ama di più.

– Il più caro. “Il sergente nella neve, scritto un anno dopo che sono tornato dalla prigionia (fu pubblicato nel 1953). Perché oltre a essere la mia voce è anche quella dei miei compagni: quei pochi che sono tornati, che non volevano più raccontare. Ed è la testimonianza delle tragiche giornate passate nella ritirata di Russia, tra il 1942 e 1943”.

– Il più bello.La storia di Tönle, scritto negli anni Settanta. Racconta di un pastore fuggiasco delle mie montagne ed è stato il mio libro più tradotto nel mondo: dalla Cina alla Groenlandia, dal Giappone agli Stati Uniti. Dopo ho continuato quella storia con L’anno della vittoria, stessi personaggi, e Le stagioni di Giacomo. In questi tre libri parlo della mia gente e della sua storia, dal periodo che va dall’annessione al Regno d’Italia fino all’inizio della seconda guerra mondiale”.

Il Rigoni-pensiero su effetto serra e turismo di massa: TROPPA PIOGGIA? Macché. È la montagna che è offesa

Effetto serra, cambiamenti climatici, grandi piogge concentrate in pochi giorni provocano con più frequenza frane e alluvioni. Qual è l’opinione del vecchio naturalista.

– “Le tragedie c’erano anche prima, ma oggi con l’informazione si sa tutto è subito. Quello che è cambiato in peggio è lo stato dell’ambiente: abbandono delle montagne, fiumi cementati, aumento eccessivo di strade, tetti di seconde e terze case che portano via l’acqua all’assorbimento del terreno e la rendono selvaggia. Precipita velocemente a valle e così l’Adige, a parità di pioggia, arriva ai limiti di guardia in un tempo tre volte inferiore rispetto a trenta anni fa”.

– Se fosse ministro?Proibirei alle auto di andare in giro per boschi e monti. Le lascerei usare per lavoro a boscaioli e forestali. Ma a cacciatori, sciatori e vacanzieri le consentirei solo fin dove arrivano il portalettere e l’autocorriera. Camminando si rispetta l’ambiente e si trova il tempo per riflettere”.

– la sua massima? “I boschi? Sono per tutti, ma non di tutti”.

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